Sono in aereo e penso.
Mi guardo intorno e mi riguardo indietro. Sono stanco, davvero stravolto.
Sono state tre settimane intense, vissute con l'entusiasmo di chi ha la consapevolezza di una probabile unica chance nella vita di visitare certi luoghi.
Ho provato a prendere qualche appunto durante questo viaggio, un viaggio vissuto on the road macinando chilometri su chilometri per tentare di strappare tempo al tempo, tentando di ottimizzare tutto l'ottimizzabile, ignorando la stanchezza; vivendo di entusiasmo, curiosità e ginger.
"Non si è trattato semplicemente di recarsi in un posto per fare snowboard o sciare; forse l'idea originaria era questa ma Aotearoa ("Terra della lunga nuvola bianca", questo il nome della Nuova Zelanda in lingua Maori) non può fare a meno di confonderti, smarrirti e ridimensionare il tuo modo di pensare."
Abbiamo percorso circa 6.000 km spostandoci con un furgone che è diventato a tutti gli effetti la nostra casa.
Abbiamo cercato di vedere tutto ciò che era possibile, abbiamo cambiato i nostri programmi almeno 5 volte al giorno, abbiamo corso, arrampicato, snowboardato, siamo andati in kayak, abbiamo parlato e siamo stati in silenzio, a lungo.
Abbiamo cercato di mischiarci alla gente del posto la quale, con una cordialità talmente pronunciata da sembrare sospetta, ci ha consigliato e guidato attraverso una terra che spesso ti fa sentire talmente piccolo e solo da provare un reale senso di smarrimento ed impotenza.
"Sono partito con l'idea di scrivere un articolo di sci e snowboard che alla fine sembra essersi rivelato un report di esplorazione. In fondo gli sport outdoor sono una scusa che permette di entrare in contatto con qualcosa di più.
Per questo adoro il mio sport nel momento in cui diventa anche uno strumento di conoscenza, un magnifico pretesto, un punto di incontro.
Un mezzo che sappia combattere il nostro egocentrismo innato, il nostro credere che ci sia un modo solo per fare le cose; questo vale tanto per la nostra tecnica quanto per la nostra filosofia. Per il nostro modo di vivere insomma.
Questo viaggio mi ha messo nella condizione di ripensarmi e di immaginarmi in uno stile di vita profondamente diverso dal nostro."
35 ore di viaggio, 10 ore di fuso orario e 34°C di differenza ti fanno intuire di esserti spinto lontano da casa, ti fanno entrare in uno stato di strana eccitazione mista ad incoscienza e crolli di improvvisa stanchezza.
E' la prima volta che mi sono spinto così lontano.
Anche se la realtà neozelandese non sembra culturalmente così distante dalla nostra porta con sè qualcosa di diverso; profondamente diverso.
Tutto intorno a noi era così pienamente vuoto e spazioso, naturalmente intenso. Questa sensazione non mi ha mai abbandonato, nemmeno nelle città più grandi.
Mi sono reso conto che i luoghi isolati in cui ho vissuto e che ho visitato nella mia vita traevano il proprio valore dall'essere un'alternativa a qualcosa, un "essere diverso" da realtà caotiche e costruite.
Era il contrasto ad arrecare loro un determinato valore.
Aotearoa invece mi ha fatto percepire la solitudine contestualizzata in una realtà priva di alternative.
Non una ricerca, bensì una condizione; una magnifica condizione nella quale immergersi per esplorare, esplorarsi e mettersi di fronte ad alternative e scoperte inaspettate.
Sono contento di aver potuto condividere questo viaggio con Alfredo, amico di vecchia data e consueto "compagno di cordata" in diverse avventure.
I nostri primi giorni in Nuova Zelanda sono stati di adattamento, abbiamo avuto la fortuna di essere accompagnati da alcuni amici esperti del settore della produzione della Lana Merino (ndr. Rewoolution) che ci hanno mostrato da vicino quanto questo prodotto sia al contempo naturale ed innovativo nei suoi innumerevoli utilizzi sportivi.
Davvero un ottimo modo per avvicinarsi a quella che è la prima realtà dell'isola, sia in termini economici che di impiego di mezzi.
Mi affascina pensare che in Nuova Zelanda siano presenti tante pecore quante sono le persone abitanti sul territorio italiano e viceversa.
Di certo questi animali non sono costretti a subire allevamenti di tipo intensivo considerando che in media hanno a disposizione circa un ettaro di terra a testa; un bel segno di civiltà e rispetto.
Il nostro viaggio è quindi proseguito, dalle pianure centrali dell'isola del Sud, fino alle pendici del Mt. Cook dove sono presenti affascinanti laghi originati dalle acque glaciali.
Sulle montagne circostanti si trova una piccola ed affascinante stazione sciistica, Ohau. In realtà parlare di stazione è forse esagerato poichè, nonostante l'alto prezzo del giornaliero gli impianti sono davvero pochi.
In breve tempo ci siamo resi conto di quanto l'approccio allo sci ed allo snowboard da parte dei Kiwis - così si chiamano in slang i neozelandesi - fosse profondamente diverso da quello europeo o americano cui siamo abituati.
Come d'altronde tutto il resto, anche il modo di vivere la montagna risulta infatti essere molto più essenziale e privo di surplus considerati inutili.
Nella pratica tutto questo si concretizzava in una seggiovia che raggiungeva quasi la cima del versante della montagna da cui poi, camminando non poco, si poteva scegliere la linea preferita di discesa.
Mi sembrava strano ma tutti camminavano; tutti consideravano normale un avvicinamento a piedi, nessun lamento, tanto entusiasmo e voglia di spingersi sempre un po' più in là delle ultime tracce.
"Risulta difficile parlare solo di snowboard nel momento in cui ti ritrovi a praticare questa disciplina in posti così diversi da casa tua, perchè il bello sta nell'innamorarsi delle differenze, anche se piccole e banali. Questi modi diversi di interpretare la montagna credo siano uno specchio capace di riflettere chi siamo ed il nostro modo di vivere."
Lasciata la stazione di Oahu il viaggio è proseguito verso l'ultima tappa del nostro "periodo di adattamento" in NZ: Queenstown.
La città è un vero brulicare di turismo ed attività adrenaliniche troppo costose per i nostri magri portafogli preventiamente sigillati a salvaguardia del budget dedicato ai futuri spostamenti.
Ciononostante non ci siamo fatti mancare una serata in compagnia di vecchi colleghi di lavoro conosciuti anni prima a Lake Tahoe.
Purtroppo proprio loro, local Snow Patroller di The Remarkables (stazione sciistica della zona) ci hanno subito confermato la magra situazione nivologica dei comprnsori circondanti la città.
Preso atto della situazione abbiamo deciso di abbandonare quel poco di contatto con la civiltà rimastaci prendendo in affitto una "casa mobile" capace di accompagnarci per il resto del viaggio.
Con la città alle spalle ci siamo diretti verso una delle zone più isolate e selvagge dell'isola del sud, Fiordland.
La terra dei fiordi è quasi un'esperienza mistica, specialmente in inverno, visto che non si incontra praticamente anima viva; la città più vicina infatti - se quattro case possono essere definite città - dista 121km.
Molte leggende Maori attribuiscono a questi luoghi una sacralità unica, indubbio frutto della assoluta bellezza di questi luoghi.
Qui sarebbero infatti nati e vissuti gli dei.
"Pensare a chi per primo giunse in queste terre fa nascere in me un profondo senso di rispetto misto ad incredulità. Attonito immagino i primi colonizzatori di questi luoghi - persone più che normali - che imbarcatesi in Europa decidevano di affrontare un viaggio di mesi per raggiungere un posto a loro totalmente ignoto e dal quale probabilmente non avrebbero mai fatto ritorno. Mi rendo conto della forza che i sogni possono avere nella nostra vita".
In mancanza di neve, vista la bassa quota, abbiamo optato per una mattinata di esplorazione in kayak di uno dei fiordi più famosi della zona.
Milford Sound ha uno sviluppo di circa 7 km ed è circondato da montagne di oltre 2000 m che si gettano direttamente nelle proprie acque.
Delfini, foche e pinguini ci hanno accompagnato durante tutta la mattinata facendoci comprendere il significato delle leggende Maori.
Abbiamo quindi deciso di proseguire il viaggio dirigendo la casa a quattro ruote verso zone montane, visto che l'astinenza di neve iniziava a farsi sempre più insistente.
Dopo un rapido passaggio nella zona del Fox Glacier e del Franz Josef Glacier abbiamo deciso di inseguire una perturbazione che stava coinvolgendo l'Arthur Pass, zona centrale dell'isola dove si trovano le stazioni sciistiche di Temple Basin e Craigieburn.
Ancora una volta ci si è presentato un modo diverso di intendere la montagna e ci siamo entusiasmati nello scoprire che in questi resort gli unici impianti sono una sorta di manovie utilizzabili indossando un imbrago collegato ad un nutcracker, apposito attrezzo simile ad uno schiaccianoci con il quale far presa sul cavo.
Nessuna pista battuta, semplicemente un mezzo per effettuare gli spostamenti più lunghi prima dei successivi avvicinamenti a piedi.
A Temple Basin inoltre è necessario un avvicinamento di trenta minuti per recarsi dal parcheggio alla partenza degli impianti, nonchè al lodge dove è possibile pernottare.
Rimango di nuovo affascinato dal modo Kiwi di approcciarsi allo sci e con esso dal cielo stellato dell'emisfero sud in una limpida notte trascorsa in montagna.
"D'altronde ci troviamo in un posto talmente differente da quelli cui siamo soliti da avere il cielo diverso...no dico, il cielo e le stelle diversi!"
Il "problema" di ricevere così tanti stimoli in così poco tempo risulta essere una sorta di necessità nel continuare a riceverne di nuovi.
In piena estasi derivata da tutti questi imput abbiamo preso la non poco azzardata decisione di spingerci fino all'Isola del Nord e tentare la salita di uno dei famosi vulcani attivi lì presenti.
Decisione irrazionale poichè la zona vulcanica è costantemente afflitta dal brutto tempo e - ci spiegano i local - le giornate di sole durante la stagione invernale si possono contare sulle dita di una mano.
Per giunta la regione era al momento in allarme per una recentissima eruzione di uno di vulcani ed alcuni terremoti; inoltre i giorni a nostra disposizione cominciavano a scarseggiare.
Tutte componenti di un quadro confuso ed improbabile che ti spingono a prendere una decisione: crederci ed andare fino in fondo.
In appena due giorni di viaggio abbiamo attraversato nuovamente l'isola del Sud recandoci a Picton da dove ci siamo imbarcati alla volta del mareggiato stretto di Cook e quindi dell'Isola del Nord.
Una volta approdati a Wellington siamo riusciti a raggiungere il Tongariro National Park in circa mezza giornata per renderci presto conto del perchè i neozelandesi ci sconsigliassero di tentare di sciare nella zona del parco. Le vette sono infatti costantemente avvolte da nubi che si abbassano fino a valle sotto forma di densa nebbia.
Ci è voluta pazienza per non cedere al senso di insofferenza creato dall'impossibilità di realizzare la salita del vulcano. Abbiamo dunque cercato di distrarci facendo un po' di trekking all'interno del parco alla ricerca di alcune terme naturali di origine vulcanica.
Giunti all'ultimo giorno utile per la salita, usciti malvolentieri dai nostri sacchi a pelo viste le rigide temperature esterne (il furgone ovviamente era privo di riscaldamento notturno), ci siamo resi conto di avere una possibilità.
Raggiunta la vetta del vulcano il cielo ormai completamente terso lasciava spazio ad un caldo sole che illuminava uno dei panorami più incredibili che avessi mai avuto la possibilità di vedere.
Una vallata di neve fresca e vergine intorno al lago vulcanico del monte Ruapehu.
Una traccia che non dimenticherò mai.
Un momento nitidamente impresso nella mia memoria ed un profondo senso di gratiudine.
Un nuovo amico del posto ci confida: "Rūaumoko was with you... In Māori mythology, Rūaumoko is the god of earthquakes, volcanoes and seasons. He is the youngest son of Ranginui - the Sky father - and Papatūānuku - the Earth mother."
Ci sentiamo onorati che gli dei Maori ci abbiano accordato un privilegio raro come questo, è bello immaginare di essere stati - in qualche modo - accolti.
Tornando a Christchirch - città dalla quale parte il nostro volo di rientro - abbiamo avuto giusto il tempo di goderci la magnifica strada lungo l'oceano ed una mattinata per le strade ed i musei della città.
Quella che incontriamo è una realtà abbastanza scioccante, frutto dei devastanti terremoti degli ultimi anni che hanno piegato la città ed i propri abitanti. Ho ripensato al mio viaggio in Abruzzo della stagione appena passata ed alla situazione dell' Aquila.
A volte - penso - nel bene o nel male, non basta neanche tutto il mondo per dividere le persone dal proprio destino.
"Oggi ho visto tanta sofferenza. L'ho incontrata in un museo.
L'ho incontrata non come succede di incontrarla di solito nei musei, lontana e quasi intangibile.
Oggi era lì fresca e recente; insieme alla paura.
Ho visto una città devastata dal dolore e dall'incapacità di rendersi conto di ciò che le sta succedendo; devastata da una catastrofe capace di colpire talmente in profondità da non permetterti più di tornare ad una vita che pensavi essere la 'tua' ma che ormai ti è stata strappata.
Paura che affonda le radici nella quotidianità, bloccandoti ed impedendoti di ricominciare.
Poi sono uscito, per strada, ed ho visto scritte sui muri - su quel che rimaneva di essi - scritte che sembravano essere un abbraccio tra persone accomunate dallo stesso male.
Scritte gridate da un unica voce, al contempo di sofferenza e speranza.
Scritte per non lasciarsi morire."
Sono in aereo e penso.
Mi guardo intorno e mi riguardo indietro. Sono stanco, davvero stravolto.
Un sorriso si fa strada sul mio volto ripensando a tutto quello che ho vissuto qui.
Ripensando all'oceano ed alla neve; ripensando ai luoghi ed alle persone.
Ripensando alle emozioni che scaturiscono da tutto questo.
Haere ra.